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14/09/2022
Sintesi del convegno del 6 settembre con i contributi tecnici del prof. Dalla Zuanna e del dott. Pone, e le analisi sindacali di Cupani (Fnp Veneto), Refosco (Cisl Veneto) e Volponi (Fnp nazionale)
Il 6 settembre al Centro Cardinal Urbani di Zelarino (Venezia) si è tenuto il convegno "Calo demografico: quali ricadute sul sistema socio previdenziale". Con questa giornata la Fnp Veneto ha voluto creare un momento di approfondimento su un tema, la tenuta del sistema previdenziale, che incrocia molti aspetti: lavoro, qualità del lavoro e delle retribuzioni, welfare e servizi.
Relatori tecnici della giornata di formazione sono stati il prof. Gianpietro Dalla Zuanna, ordinario di Demografia nel Dipartimento di Scienze statistiche dell'Università di Padova, e il direttore regionale dell'Inps Antonio Pone. L'analisi sindacale è stata promossa nel suo intervento introduttivo da Tina Cupani, segretaria generale Fnp Veneto, ed è stata poi approfondita da Gianfranco Refosco, segretario generale Cisl Veneto, e della componente della segreteria nazionale Fnp Patrizia Volponi.
Di seguito proponiamo una sintesi degli interventi. Ricordiamo che a questo link c'è il comunicato stampa e la puntata di "Parliamo di..." su TV7 che abbiamo dedicato all'evento, a questo link la gallery del convegno e a questo link il servizio sul convegno andato in onda su TV7 Box nei giorni successivi.
INTERVENTO DI TINA CUPANI
Aprendo i lavori, la segretaria generale della Fnp Veneto ha spiegato che è necessario parlare oggi delle pensioni di domani, perché i pensionati di oggi affrontano problemi causati da scelte poche lungimiranti del passato. Da questa esperienza è evidente per la Fnp l'obbligo di visione politica oltre che responsabilità morale verso le future generazioni, considerato che la riforma dell’attuale sistema pensionistico è diventata non più procrastinabile. Anche perché ora il bilancio INPS è in attivo (e i decessi Covid hanno indubbiamente contato), ma bisogna capire oggi fino a quando il sistema potrà reggere e quali possono essere le riforme sostenibili per il futuro prossimo.
Il bilancio previdenziale, ha ricordato Cupani, non può essere mantenuto in attivo semplicemente spostando l'età pensionabile, cosa sulla quale il sindacato non è d'accordo. Ci vuole tenuta del sistema produttivo, un mercato del lavoro funzionante, un salario dignitoso. Lavoro che deve coinvolgere di più le donne e i giovani. Perché senza buona occupazione non ci sono buoni contributi e non ci sono buone pensioni.
Un rischio che ricade soprattutto sui giovani lavoratori. Convenzionalmente si fissa l'inizio della precarizzazione del lavoro negli anni Novanta: tra il 2035 e il 2040 andranno in pensione quelli che hanno cominciato a lavorare in quegli anni, rientrando magari nel sistema interamente contributivo previsto dalla riforma Amato, quindi senza adeguamento al trattamento minimo in caso di pensione molto bassa.
Per questo tornano attuali le proposte di riforma del sistema previdenziale promosse da tempo dalla Cisl e dalla Fnp: uscita dal lavoro a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi; pensione di garanzia ai giovani, sostegno previdenza complementare; attenzione ai lavori usuranti e gravosi; separazione nel bilancio dell'Inps delle spese previdenziali da quelle assistenziali che dovrebbero essere a carico della fiscalità; estendere la platea dei beneficiari della quattordicesima mensilità; nuovi adeguamenti al costo della vita e tutela degli incapienti.
INTERVENTO DEL PROF. DALLA ZUANNA - UNIVERSITÀ DI PADOVA
Il prof. Dalla Zuanna ha spiegato perché siamo all'inizio di una cosiddetta "tempesta demografica perfetta" che rischia di far saltare l'equilibrio di un sistema previdenziale di tipo solidaristico come il nostro.
Il primo indicatore critico è l'indice di dipendenza strutturale, ovvero il rapporto tra popolazione non attiva e popolazione attiva, e cioè tra popolazione non in età da lavoro e popolazione in età di lavoro, che viene espresso con una percentuale e considerato in equilibrio se essa è al 50%. Se in statistica si considera popolazione attiva quella fra i 15 e i 64 anni, e non attiva quella 0-14 e di 65 anni e più, il prof. Dalla Zuanna, avvicinandosi forse più all'odierna società, nei suoi calcoli calati sul Veneto ha invece spostato l'inizio dell'età attiva a 20 anni e l'inizio dell'età non attiva a 70. Tuttavia il risultato è lo stesso con entrambi i parametri: ora siamo a un indice di dipendenza del 54%, non problematico, ma il trend ci porterà ad avere nel 2050 un drammatico 82%.
Il secondo indicatore critico è che, con l'aumento dell'aspettativa di vita, avremo nei prossimi anni l'invecchiamento di un numero di anziani molto maggiore in proporzione al passato: entreranno nella terza età, infatti, quanti sono nati nell'ultima fase del baby boom, caratterizzata da un exploit di nascite (per es. l'oltre milione di bambini nati nel 1964). Mentre entreranno nella quarta età i baby boomer della prima fase.
Contraltare è il terzo indicatore critico, e cioè che da 40 anni la natalità è calata fino ad arrivare oggi a 1,2 figli per donna. Per un ricambio generazionale ci vogliono due figli per donna. Un elemento correlato è lo spostamento in avanti dell'età in cui una donna ha il suo primo figlio (ora 31 anni). E una conseguenza del calo delle nascite è che gradualmente si ridurrà in modo importante la capacità del "welfare familiare", che finora ha sopperito alla mancanza o alla scarsità dei servizi per famiglie e anziani.
Il quarto indicatore critico è che negli ultimi 10 anni c'è stata una diminuzione dell'immigrazione e un aumento dell'emigrazione.
Il professore, quindi, ha calcolato che, se gli indicatori non cambiano, per mantenere la proporzione "un pensionato ogni due lavoratori" nel 2026 si dovrebbe andare in pensione a 63 anni, nel 2034 a 65 e nel 2042 a 68. Secondo Dalla Zuanna, peraltro, lo spostare più avanti l'età del pensionamento è un processo che non si può invertire: per accompagnarlo, suggerisce, serve concepire modalità diverse per il lavoro dei 60-70enni, pensando a un sistema misto fra reddito e pensione.
INTERVENTO DEL DOTT. PONE - INPS VENETO
Il dott. Pone, direttore dell'Inps Veneto ha integrato alcune riflessioni sulla demografia, collegate alla relazione del prof. Dalla Zuanna, con dati sul lavoro in Italia e in Veneto, sulle retribuzioni e sulla spesa sociale.
Il direttore regionale dell'Inps ha sottolineato come il trend demografico italiano in realtà sia comune a tutti i paesi occidentali: la differenza sta nelle "contromosse", a partire dal sostegno alle famiglie e alla promozione dell'occupazione femminile, che in altri paesi sono state adottate prima e i risultati si vedono. La Germania, per esempio, ha una natalità di 1,5 figli per donna.
L'attuale spesa per le pensioni ora è attorno al 16% del PIL, percentuale che - ha precisato Pone - si tiene come soglia di riferimento: questa percentuale andrà a contrarsi sensibilmente. Se sommata alla spesa per la cosiddetta LTC (Long Term Care), cioè l'indennità di accompagnamento e altre voci, questa spesa si eleva al 25% del PIL. PIL che dal 2001 ha subito un forte rallentamento.
Sul fronte dell'occupazione, Pone ha evidenziato come gli effetti della riforma Maroni (2004, innalzamento dell'età anagrafica da 57 a 60 anni a partire dal primo gennaio 2008) e della riforma Fornero si vedano sul tasso di occupazione degli over 55, che è aumentato. E ha evidenziato come nel nostro Paese, dando per assodato un tasso di disoccupazione generale più elevato nel Mezzogiorno, ci siano delle profonde differenze fra occupazione femminile e maschile anche nelle regioni dove "il lavoro c'è". Come la nostra: il Veneto ha un tasso di occupazione generale del 65,7% (molto meglio del dato nazionale al 58,2%), con gli uomini occupati al 73,5% e le donne al 57,7%. Un dato negativo riguarda anche la formazione dei lavoratori: l'Italia è agli ultimi posti in Europa per la formazione sia per i giovani lavoratori (25-49 anni) che per quelli più anziani (50-64 anni).
Per la sostenibilità del sistema, ha concluso il direttore dell'Inps Veneto, è indispensabile che aumentino le nascite e l'occupazione, soprattutto quella femminile. Sono necessari anche interventi sull’immigrazione ed è importante accrescere la formazione continua dei lavoratori attivi al fine di favorirne la ricollocabilità. La crescita del PIL è determinante sia per le rivalutazioni degli importi sia per mantenere sostenibile il livello della spesa pensionistica.
LE ANALISI DI REFOSCO (CISL VENETO) E VOLPONI (FNP)
Il segretario generale della Cisl Veneto Gianfranco Refosco, sottolineando che la sostenibilità del sistema previdenziale passa soprattutto attraverso la crescita dell'occupazione e delle retribuzioni, ha stimato che se solo nella nostra regione l'occupazione femminile raggiungesse lo stesso tasso di quella maschile, staremmo parlando già di 200mila lavoratrici in più. Un dato, tuttavia, andrebbe corretto: 4 donne su 10 in Veneto lavorano in part time, di cui solo 2 volontario. Sul lavoro dei giovani, ha aggiunto, un investimento importante andrebbe fatto per far conoscere e usare l'apprendistato.
Patrizia Volponi, della segreteria nazionale della Fnp, ha evidenziato come le pensioni italiane siano le più tassate in Europa e ha sottolineato che una vera battaglia contro l'evasione e l'elusione fiscale potrebbero finalmente creare le condizioni affinché ci sia la tanto richiesta separazione nel bilancio Inps delle spese per la previdenza dalle spese per l'assistenza, che così potrebbe ricadere al 100% sulla fiscalità generale.