Comunicati Stampa | Previdenza e fisco
28/04/2023
Servono riferimenti certi ai pensionati e ai lavoratori: parlare di contributi non è un tabù. Solo in Veneto, tra donne e sommerso, ci sono oltre 400mila lavoratori “inespressi”
In questi giorni che si avvicinano al Primo Maggio le cronache si occupano quotidianamente delle bozze circolanti del Decreto Lavoro, che sarà anticipato domenica ai sindacati confederali in una convocazione benvenuta anche se tardiva, e discusso in Consiglio dei Ministri proprio lunedì, nella festa dei lavoratori. «Ma quel che preoccupa noi della Fnp è che si dia ormai per certo che la riforma previdenziale slitti a dopo l’estate, perché non ci sono soldi. Riforma del lavoro, riforma fiscale e riforma previdenziale devono proseguire parallelamente», considera Tina Cupani, segretaria generale Fnp Veneto, «spostare il ragionamento sul futuro della previdenza italiana così in avanti significa avere ancora una volta un atteggiamento miope. Sembra che i punti nodali per il Governo siano solo quali quote stabilire per il 2024 e come gestire il prossimo tasso di rivalutazione, cose che si affrontano – appunto – in autunno».
L’opinione del sindacato dei pensionati Cisl è nota: i pensionati di oggi devono avere certezze sulla tenuta del potete d’acquisto dei loro assegni, e ciò si ottiene con un meccanismo di perequazione certa senza tagli. I pensionandi non devono stare ogni anno appesi alla Legge di Bilancio per vedere se alcune soluzioni anticipate siano confermate o modificate (si pensi allo scempio fatto su Opzione Donna), o valutare se l’ennesima soluzione tampone “anti-Fornero” possa andar bene. Chi è nel pieno della vita lavorativa o chi si sta affacciando al mondo del lavoro, sia esso dipendente o autonomo, deve avere dei riferimenti certi per orientarsi sul futuro previdenziale. «Il nostro patronato Inas ha calcolato che nel 2023 ci sono 57 modi diversi di andare in pensione: è ammissibile avere un sistema così arzigogolato?», chiede Cupani.
«Parlare di contributi e di previdenza integrativa non deve essere un tabù - aggiunge la segretaria generale - soprattutto perché tra dieci anni cominceranno ad andare in pensione i lavoratori con regime interamente contributivo: con i salari che abbiamo visto in questi anni, i futuri pensionati saranno ancora più poveri degli attuali». Oggi, infatti, il 51% dei pensionati veneti (658mila) percepisce fino a 1.500 euro lordi al mese, il 72% (930mila) arriva a 2.000. Inoltre, «riorganizzare la flessibilità in uscita con meccanismi certi riconosce il principio che non tutti i lavori sono uguali, e dà finalmente dignità a tutte quelle tipologie di lavoro alle quali ci si affaccia anche da molto giovani: il nostro Veneto è pieno di lavoratori precoci».
Il nostro è un sistema pensionistico solidaristico: i lavoratori di oggi sostengono chi non lavora, cioè i giovani e gli anziani. È il patto intergenerazionale, che non deve saltare. «Siamo stati fra i primi nei mesi scorsi, prima delle elezioni, a lanciare l’allarme che oggi il sistema previdenziale è in equilibrio, ma siamo alla vigilia del suo collasso», conclude Cupani. «Lo ribadiamo: servono politiche per la natalità, per l'occupazione delle donne e dei giovani e per una gestione mirata dei flussi migratori, e politiche per la crescita». Solo nel nostro Veneto, ci sono oltre 400mila lavoratori inespressi: 200mila sono le lavoratrici “in più” se il tasso di occupazione femminile (ora del 57,7%) fosse uguale a quello maschile (73,5%), mentre 203mila è la stima che la Cgia di Mestre ha fatto del lavoro sommerso.